La duchessina non era certo priva di esperienza del mondo della politica e dei costumi delle corti. Soprattutto durante il suo soggiorno romano, aveva potuto assistere alle cerimonie di presentazione degli ambasciatori stranieri. Roma costituiva allora il punto nodale di tutte le trame politiche europee e persino mondiali. Caterina conosceva la geografia, i nomi dei principi, le loro ambizioni, i loro successi e le loro sconfitte, i matrimoni e le alleanze. Sapeva vedere, ascoltare e ricordare. Tra questa principessa fiorentina e romana e una infanta spagnola correva un abisso: appunto quello che la divideva dalla buona regina Eleonora, che non sapeva niente.
Tuttavia, la piccola italiana allevata tra le tonache rosse e nere doveva imparare ancora molto sui costumi, gli usi, le peculiarità della corte di Francia e sui problemi di un regno nel quale era veramente una straniera e tale era considerata nell'ambiente in cui il matrimonio l'aveva repentinamente collocata. Inoltre, questo ambiente la rifiutava sprezzantemente.
Dunque, ella doveva non soltanto imparare a conoscere questa nazione, ma soprattutto riuscire a farsi amare da essa, o quanto meno a farsi tollerare senza suscitare aperte manifestazioni di ostilità. Se vogliamo prestar fede all'ambasciatore veneziano, l'ostilità era generale: «Monsieur d'Orléans è sposato con Madame Caterina de' Medici» scrive costui «e ciò spiace a tutta la nazione. È opinione diffusa che il papa Clemente sia venuto meno alla sua parola nei confronti del re...». E i veneziani erano eccellenti informatori. La nobiltà la disprezzava, perché non gradiva doversi inginocchiare al cospetto di una principessa di bassa estrazione, e il popolo la rifiutava poiché ella si circondava di italiani liquidati sommariamente come maghi e spilorci. Il popolo riteneva ammissibile che il re acquistasse a caro prezzo quadri e statue e che sovvenzionasse artisti italiani, ma non era disposto ad ammettere che una ragazza tratta da quell'ambiente, foss'anche la nipote del papa, potesse entrare nel letto del figlio
di Sua Maestà. Il popolo era più tradizionalista del suo sovrano e niente poté mai cancellare le sue prevenzioni nei confronti di Caterina. Molti storici lo hanno imitato.
In altri termini, gli esordi della duchessina si annunciavano difficili. Ma ella non era priva di risorse.
Anzitutto, conosceva il proprio punto debole: le sue origini. Non poteva farci niente. Ma possedeva le qualità della sua razza: l'intelligenza, l'accortezza e una rara capacità di dissimulazione. Nell'ambiente ecclesiastico in cui aveva vissuto aveva appreso il riserbo, l'autocontrollo, l'arte di blandire. Era esperta in complimenti e carezze. Dolcezza, modestia e persino umiltà dinanzi ai potenti sono doti di cui seppe servirsi mirabilmente. Se avesse commesso l'errore di menar vanto del proprio rango di seconda principessa del sangue, sarebbe stata stritolata. Seppe annullarsi, blandire, sorridere. Da questi semplici elementi seppe farsi una maschera impenetrabile, tanto più pericolosa in quanto passò a lungo inosservata e ottenebrò la più profonda intelligenza della corte.
Se solo fosse stata bella! Ma ella affascinava, comunque, per l'amabilità della sua conversazione. Senza ostentarla, faceva apprezzare la sua cultura molto superiore e più ricca di quella delle dame e persino dei signori della corte. Aveva affinato, a Firenze e a Roma, il suo gusto artistico per la musica, la poesia, la pittura, la scultura e anche l'architettura, e sapeva di greco e di latino. In Francia, continuò a studiare le lingue antiche e tradusse Orazio: tipico dei Medici. Infine, le sue cognizioni di geografia, astrologia, fisica e matematica superavano di gran lunga quelle delle dame della corte. La stessa sorella del re, la celebre Margherita d'Angoulême, che divenne regina di Navarra, una delle menti più brillanti del suo tempo, aveva una cultura esclusivamente letteraria e restò affascinata dalla nipote, dalla sua intelligenza, dal suo sapere, oltre che dalla sua dolcezza.
Persino Ronsard celebrò di Caterina non la bellezza, ma la sua scienza:
Quelle dame a la pratique
De tant de mathématique?
Quelle princesse entend mieux
Du grand monde la peinture
Les chemins de la nature
Et la musique des cieux?
(L 'Astrologie)
(1)
Si esprimeva splendidamente in francese, ma scriveva questa lingua in modo quasi fonetico e approssimativo, il che rende la lettura delle sue lettere insopportabile: la loro decifrazione richiede notevoli doti immaginative.
Quanto alla pronuncia, abbastanza corretta, restò sempre compromessa dall'accento italiano: generava un certo fastidio in chi l'ascoltava, e contribuiva non poco a ricordare sgradevolmente la sua origine e ad alimentare l'alone di sospetto con cui era stata accolta. Modeste sbavature, senza dubbio; ma su di esse si accanirono la diffidenza e il disprezzo più o meno velato che l'accompagnarono durante la sua vita e che, in alcuni, durano ancora.
Ne era ben conscia. Più intelligente che orgogliosa, era consapevole della fragilità della propria posizione nella famiglia reale e soprattutto tra quei gentiluomini e quelle dame che non le perdonarono mai la sua ascesa quasi miracolosa. L'educazione romana le aveva insegnato a conoscere le insidie delle corti e della politica. Dopotutto, lei era alla mercé di un intrigo, del capriccio di un re, di una favorita, di un principe, di un clan di irriducibili e persino di un sovrano straniero. Gli esempi non mancavano. A Londra, alla corte di Enrico VIII, le spose venivano ripudiate e decapitate; a Firenze, il cugino Alessandro il Moro era stato assassinato da Lorenzaccio, un suo parente; quanto al caro cardinale Ippolito, il bello e imprevedibile Medici, fu avvelenato da Alessandro. La corte francese era ritenuta meno infida, ma non si sa mai. I veleni superavano agevolmente le frontiere e, inoltre, il re di Francia ricorreva ad altre armi non meno spaventose. Caterina conosceva ora nei dettagli la vicenda del conestabile di Borbone. Il personaggio vantava ben altri natali e ben diversa statura politica rispetto alla duchessina senza ducato; tuttavia era stato cancellato dalla storia, non con il veleno o con il pugnale (come era costume presso i Medici, che saranno imitati ben presto dai francesi), ma grazie a sapienti manipolazioni di testi giuridici. Sistemi meno sbrigativi dei veleni dei Borgia, ma altrettanto efficaci.
In verità, Caterina aveva paura. Era vissuta sempre in un clima di paura, sin dall'infanzia: dopo il sacco di Roma, dopo la sua prigionia a Firenze, dopo il suo ingresso in questa corte e in questo paese ostile, e avrebbe provato paura sino alla fine dei suoi giorni. Questa è una delle ragioni del suo atteggiamento. Ed è, ora, all'origine della sua sgradevole umiltà dinanzi ai potenti, alle favorite, dinanzi all'intero apparato della monarchia. Sentiva di essere disprezzata e, peggio ancora, credeva che questo disprezzo fosse in qualche modo motivato: soffriva sempre per i suoi natali. Quindi, mise all'opera tutte le risorse della sua straordinaria intelligenza e della sua temibile volontà per rendersi degna del suo prodigioso destino. Poiché la sorte e le congiunzioni astrali (curiosamente, parla più spesso di stelle che di Dio) l'avevano collocata ai vertici delle gerarchie umane, manifestò una riconoscenza, una umiltà assoluta al sovrano, suo signore, che l'aveva scelta e nelle cui mani si rimetteva, immobile e tremante. Identico il suo atteggiamento di fronte allo sposo, anch'egli suo re e signore. Nel segreto di questo comportamento sottomesso e umile, si forgiò, imprevedibilmente, un'anima di principessa francese. Ci stupiremo nel vedere, più avanti, questa straniera, priva di nobili natali, dare a principi del sangue e a signori francesi lezioni di lealtà nei confronti della corona dei gigli e verso la loro patria, la Francia.